In tutte le parti del mondo trovate i pistacchi, in molte parti d'Europa trovate i "pistacchi di Bronte", ed in Italia avviene anche questo, che sto per descrivere.
Ed il pistacchio da qualche anno è tornato alla ribalta, con una produzione di elaborati alimentari sproporzionata alla produzione reale; ovviamente mi riferisco ai pistacchi di Bronte, che sono coltivati in circa 2.500 ettari (secondo alcuni 4.000).
Ma questa ridotta superficie riesce a soddisfare con le proprie produzioni le richieste del mercato, anche tenendo conto dell'alternanza della produzione?
E prima di andare avanti, vorrei ricordare che quattro anni fa ho già scritto su questa vicenda:
Nella confezione che mostro in fotografia il pesto di pistacchio viene "prodotto e confezionato a Bronte", e poi la provenienza del pistacchio viene indicata in etichetta dopo la data di scadenza con una apposita lettere, che può essere Siciliana, Turca, Greca, Iraniana, Argentina ed Americana. Ogni paese di produzione una lettera. Tutto legale, intendiamoci, è ben scritto nella etichetta.
Nel caso in specie il prodotto reca una "I", relativa all'Iran, e quindi chi mette in commercio il prodotto ha ottemperato alla indicazione della provenienza.
Ma ... il consumatore innanzitutto potrebbe essere indotto in errore dalla "I" ritenendola relativa alla "I"talia, che invece per norma internazionale ha come dicitura "IT", e comunque non è detto che sia proprio così attento a leggere le indicazioni riportate in etichetta, ma solo l'ultimo rigo nel quale è scritto dove il pesto è stato prodotto e confezionato.
Non ci troviamo in uno dei casi di frode in commercio, ma sicuramente in un caso in cui il consumatore può "distrattamente" essere indotto in errore di valutazione sull'acquisto del prodotto.
Quindi?
E quindi ... leggete bene, molto bene, le etichette, prima di acquistare un prodotto, che invece ne nasconde un altro.
E quindi ... leggete bene, molto bene, le etichette, prima di acquistare un prodotto, che invece ne nasconde un altro.
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