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Ricevo e pubblico una bella lettera ricevuta da un agricoltore ai limiti della disperazione. Ometto volontariamente il nome e cognome del mittente.
Caro Corrado,
mentre facevo i conti se mi fosse economicamente più conveniente seminare o lasciare incolti i miei terreni (credo che siamo la prima generazione di agricoltori di questo Paese che, periodi di guerra a parte, si sia posta questa problema) facevo questa riflessione. Una delle tesi sostenute da chi è favorevole alla globalizzazione così come è attualmente, cioè selvaggia e senza regole, è che questa favorisca le agricolture e le popolazioni dei P.V.S. che esportano sui mercati occidentali. A me pare una falsità e Ti spiego perchè. Se il prezzo di un prodotto agricolo (la stessa cosa anche se in modo più complesso vale anche per i prodotti industriali) in Occidente è 100 e nei PVS è 20 ma il mercato di sbocco occidentale è "protetto" non solo in termini di dazi ma anche in termini di qualità e salubrità, il prodotto PVS che riuscirà ad entrare su quel mercato sarà solo quello in grado di essere competitivo non solo in termini economici ma anche e sopratutto in termini qualitativi. Questo comporterà che solo una parte (quella di maggior qualità prodotta da aziende più moderne che sono da traino per il progresso di tutte le altre) del prodotto di quel PVS verrà esportato, lasciando sul mercato del PVS il resto della produzione senza far salire il prezzo medio del prodotto stesso. Se invece il mercato del Paese ricco non pone limiti nè qualitativi nè quantitativi ma richiede solo un prezzo più basso della produzione interna, tutto il prodotto del PVS prenderà la via del mercato occidentale magari arrivando a un prezzo di 90 con i seguenti risultati: a) Mettere fuori mercato tutta la produzione del Paese ricco e facendone chiudere le aziende (quello che sta succedendo in Italia); b) Far diminuire o far scomparire la produzione sul mercato del PVS; c) Far lievitare a livelli "occidentali" il prezzo di quel prodotto nel mercato del PVS (lasciando fuori dalla possibilità di acquisto fasce sempre più ampie di popolazione povera); d)Essendo decisivo per l'esportazione solo il prezzo nessuna azienda di quel PVS avrà interesse a svilupparsi in termini qualitativi e/o tecnologici e nessuna ricaduta di progresso tecnico e sociale si avrà in quel PVS stesso. Non sarà un caso che il nostro prodotto agrumicolo che decenni fa non aveva "concorrenti" sui mercati occidentali è stato "capace" di perdere (anche e sopratutto grazie alla "stoltezza" di tutta la filiera) quei mercati e di crollare nella crisi in cui versa adesso; mentre il settore dei vini che aveva sui mercati una concorrenza fenomenale in termini qualitativi (Francia) e riuscito a crescere fino a diventare un settore trainante di tutto il made in Italy. Ovviamente questa è una esposizione semplificata al massimo della questione che è certamente nella realtà più complessa. Ma serve a capire, a mio avviso, come occorre affrontare la questione più sul piano etico e sociale che su quello economico. Scusa per il disturbo ma dovevo "sfogarmi" ! Un abbraccio.

Commenti

  1. Tantissimi anni (circa venti) sono trascorsi da quando era sufficiente che, in una qualsiasi “riunione” di agricoltori o per gli agricoltori, il relatore di turno dicesse una magica parolina perché scattasse l’incondizionato applauso del pubblico: la parolina era “marketing”.
    Oggi questa parolina, italianizzandola, si può tradurre in “marchètting”.
    Perché a questo si è di fatto ridotto l’agricoltore medio, a fare marchette pur di vendere il prodotto.
    “Marchetta” nel significato dato, ad esempio, dal De Mauro-Paravia “lavoro non particolarmente impegnativo che ci si accolla per compiacere qualcuno o per ricavarne un minimo guadagno”.
    Qualificazione dell’impegno a parte penso che il senso sia reso in modo aderente alla realtà.
    Rispondere a questi quesiti, forse, (io non ne sono capace) aiuterebbe alquanto:
    Chi forma il prezzo unitario stagionale della PLV?
    E il prezzo unitario della PLV come si forma?
    Qualcuno conosce un prodotto agricolo il cui prezzo unitario sia frutto di una ponderata contabilità industriale?
    E sarebbe realmente possibile farlo?
    In estrema sintesi: chi si siede alla “console” che determina i destini dell’agricoltura? Qual è il suo curriculum agrario?
    Non penso sia solo colpa del gap qualitativo che differenzia i Paesi Occidentali dai Paesi in via di sviluppo; ritengo, invece, sia principalmente colpa di un perverso sistema creato ad hoc per generare flussi finanziari di aiuto ai PVS che creano un doppio danno al Paese filantropo (per un verso ti aiuto a produrre a basso costo e per l’altro favorisco la vendita del tuo prodotto nel mio paese) ed un danno irreversibile al PVS (tu coltivi come dico io e coi soldi che ti do ma non ti insegno nulla: il know how è soltanto mio).
    Quanta della PLV così prodotta viene consumata nei paesi d’origine?
    Chi c’è dietro agli utilizzatori locali di questi flussi finanziarii?
    Quante vendite di carri armati, aerei, fucili, bombe e trikketrakke varie sono state facilitate da questo status?

    Sarà forse una responsabilità attribuibile a tutti i Nembo Kid autoreferenziati?

    Mi scuso per la raffazzonata esposizione di una parte del mio pensiero ma ho scritto di getto e con la spada di damocle della sintesi puntata sulla mia testa.

    RispondiElimina
  2. Questa l'ho letta solo dopo aver postato il mio commento.
    Vedere a:

    http://www.terra-multimedialeagricoltura.it/orticoltura/pp-ortofrutta.html

    E i finanziamenti per la qualità??????????

    RispondiElimina

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