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L'insolenza e la truffa 2°

In relazione al post "l'insolenza e truffa", ricevo e pubblico.

Caro Corrado,
Il tuo post chiamato con molto effetto “l’insolenza e la truffa” contiene alcune iperboli che ci trasportano verso valutazioni falsate del problema che comunque c’è ed è gravissimo.
Cominciamo proprio dal titolo; l’insolenza c’è ma la truffa no. Purtroppo tutto è nella legge: se io ti do un assegno a caparra di una vendita, tu hai l’obbligo di incassarlo.
Se leggi il testo completo della sentenza della Cassazione civile, sez. II, 9 agosto 2011, n. 17127 vedrai che: “nei casi in cui la caparra è costituita mediante consegna di un assegno bancario, il comportamento del prenditore del titolo che, dopo averne accettato la consegna, ometta poi di porlo all’incasso, trattenendo comunque l’assegno e non restituendolo all’acquirente, è contrario a correttezza e buona fede e comporta a carico del prenditore l’insorgenza degli obblighi propri della caparra, nel senso che ove risulti inadempiente all’obbligazione cui si riferisce la caparra, egli sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell’assegno”.
E in questa storia i fatti dicono che c’è una trattativa, un prezzo, alcuni testimoni e un assegno.
Non entro nel merito di ciò che accadrà, ci sono già uffici legali e forse tribunali che se ne occuperanno nei termini di una vicenda che andrà chiarita e sulla quale non si abbasserà la testa di un centimetro.  Assicuro a tutti quelli che hanno nel cuore la sopravvivenza della produzione agricola che qui non si molla. L’azienda tiene la botta, rilancia e troverà nel diritto le proprie ragioni che comunque ci sono.
Ci sono però tanti aspetti che i fatti non dicono e su questo vorrei si dibattesse. L’hai chiamata “insolenza”? Io ti aggiungo: “la violenza e la paura”. Perché questo c’è in ogni trattativa sugli agrumi: Violenza e Paura.
Gestire un’azienda agricola, a maggior ragione un agrumeto, è un gioco esageratamente muscolare: dai rapporti con le amministrazioni pubbliche, con le banche, con lo stesso territorio, con le opportunità commerciali, con la ricerca e lo sviluppo. Tutto è violenza e paura.
Una violenza che gioca e prevarica sulla paura. La violenza di quelli che voi chiamate commercianti; impresari di paese, improvvisati e ignoranti. Non è difficile mettere 17 frutti per strato dentro una cassetta di legno o di cartone. Ma ci sarà un motivo se una intera categoria è in autoestinzione, felice di un finto passato in cui finanziava una filiera inesistente e ancora oggi ancora orgogliosamente esistente perché in questo settore fino alla prossima Arca, e prima dell’imminente diluvio, c’è spazio per tutti gli animali.
Fuori dalle ipocrisie: non è violenza quando i bandi non ti danno certezza del pagamento e devi corteggiare improbabili burocrati per ricevere un tuo diritto? Non è violenta la banca che ti propone di ricevere un contributo con una manleva dell’amministrazione pubblica quando poi chiede a te e non alla manleva il rientro perché l’ente non paga puntuale?
Non è violento un sistema agricolo che non ti informa sugli scenari commerciali? Un comparto in cui vedi i risultati 4 o 5 anni dopo aver completato gli investimenti e ti va a regime tra i 10 e i 15 anni vuole visione e competenze mentre noi giochiamo ancora sulle piccole paure quotidiane.
Noi abbiamo le spalle larghe per parare la botta; ma domani per favore e, ripeto, per favore, non fate entrare in azienda zingari del piccolo commercio a zero kilometri con i libretti di assegni sventolanti. Chiedete una presentazione scritta sulla loro politica commerciale: dove vendono, a chi vendono, con quali attrezzature e che programmi hanno, di che regole si dotano, di quali certificazioni sono in possesso.
Non vendete le arance di quest’anno, ma quelle dei prossimi 50…

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