Pubblico, in copia/incolla e dopo averne avuta autorizzazione, un articolo scritto dall'enologo Giacomo Alberto Manzo.
La vendemmia 2021, in Sicilia, è iniziata il 29 luglio nella zona del trapanese e dell’agrigentino, con uve bianche per base spumante e per le varietà aromatiche, e terminerà alla fine di ottobre, primi di novembre con i rossi alle falde dell’Etna. Già in questi giorni, sono state raccolte; pinot grigio, chardonnay, viognier, zibibbo, e a seguire, grillo e insolia. Il Clou della raccolta per le uve rosse, seppur iniziato per il merlot e syrah, si terminerà a fine mese di agosto, con il cabernet sauvignon, nero d’Avola, frappato, e altre varietà. Da un attento esame pluviometrico si è registrato un inverno di nuovo generoso in particolare nel mese di febbraio e marzo che ha visto accumuli sopra i 200 mm.
Le condizioni climatiche in primavera sono state decisamente asciutte con un numero, di eventi climatici, limitato e quantitativamente poco indicativo. In particolare, è stato molto anomalo il mese di aprile durante il quale le piogge sono state di portata assolutamente trascurabile con un cumulato medio di 3 mm, dati inferiori alla media degli ultimi anni. Nella seconda metà di luglio, le temperature sono state molto elevate, con picchi fino ai 45°C in diverse zone dell’isola, facendo registrare qualche scottatura dei grappoli più esposti. Durante le delicate fasi di allegagione le piogge sono state praticamente assenti, ciò ha indotto, nei comprensori irrigui, i viticoltori a fare ricorso all’irrigazione di soccorso. In questi ultimi giorni (dopo ferragosto) le temperature si sono leggermente abbassate riducendo, di fatto, ulteriori compromissioni delle uve.
Va anche evidenziato, che le infezioni sia peronosporiche sia di oidio, sono state inferiori agli anni precedenti, ciò dovuto al fatto per la continua comparsa di venti da scirocco, (nei mesi di aprile e maggio), che ne hanno limitato i danni e quindi da non tenere in considerazione, oltre all’intervento, ove necessario del viticoltore, al fine di evitare focolai d’infezione delle uve. Visto l’attuale andamento climatico, ci si aspetta un’annata ottima, sia per quantità, sia per qualità del futuro vino, che secondo alcune stime e previsioni, non dovrebbe essere inferiore alla campagna vitivinicola 2020 e cioè a 4,5 milioni di ettolitri (che rappresenta il 10% circa della produzione nazionale, stimata lo scorso anno in 46, 6 milioni di hl. (come da dati Assoenologi – Ismea – UIV.) pari a circa 7 milioni di quintali di uve bianche e nere, che saranno prodotte in Sicilia.
Un aspetto importante della Sicilia vitivinicola è la sostenibilità. Ciò è dimostrato dal crescente numero di cantine che aderiscono a protocolli volontari o a certificazioni legate propria alla sostenibilità e al biologico. Tanto per ricordare alcuni dati, in Italia, si coltivano oltre 84 mila ettari di vigneti biologici e che sono destinati ad aumentare, e la Sicilia ne detiene il 28,8% della superficie biologica complessiva della viticoltura italiana. I fattori che permettono alla Sicilia un approccio così fortemente indirizzato alla sostenibilità e al biologico sono molteplici. A iniziare dal clima mediterraneo che non risente particolarmente dell’innalzamento delle temperature medie dovute al cambiamento climatico (visto la collocazione dell’isola al centro del mediterraneo), all’influenza positiva del mare, alla forte presenza dei venti, alle diverse escursioni termiche –notte/giorno, e alle piogge.
Ma non mancano le criticità che soprattutto negli ultimi anni ha manifestato il comparto. A partire dall’abbandono dei vigneti, per scarsa remunerazione delle uve; l’innalzamento di età dei viticoltori (media 65 anni); lo scarso insediamento dei giovani in viticoltura; la vendita dei diritti al reimpianto fuori regione; l’eccessiva burocrazia; molta la frammentazione delle superficie vitate; il fallimento o chiusura di molte cantine sociali; il disinteresse per il mantenimento e miglioramento del paesaggio rurale e viticolo; assenza di assistenza tecnica da parte delle cantine sociali verso i viticoltori. Criticità che trovano riscontro negli ultimi Censimenti dell’Agricoltura. A partire dal 1970, quando in Sicilia si rilevavano 147 mila ettari di vigneto per uva da vino, cifra in crescita nel 1982 (168 mila ettari) per poi registrare dagli anni ’90 in poi l’inizio di una caduta libera.
Scenario ben evidenziato dall’Osservatorio Vitivinicolo della stessa Regione Siciliana e dall’assessorato regionale Agricoltura e foreste, registrando nel 2014, esattamente 103.076 ettari di vigneto. Cifre certificate anche dall’Istituto Regionale del vino e dell’olio e che segnano una caduta libera con le ultime rilevazioni al 30 luglio 2020 che vedono in Sicilia soltanto 98 mila ettari di superficie vitate. Un altro dato su cui bisogna riflettere è che le aziende con vite sono per la gran parte di dimensione medio-piccola o piccolissima: la classe di ampiezza inferiore a 5 ettari è rappresentata dal 68,3% delle aziende e il 28,8% della superficie vitata, mentre la grande azienda con superficie vitata superiore ai 50 ettari copre l’1,4% delle unità produttive con l’11,3% della superficie vitata.
L’azienda a dimensione intermedia, nella classe tra i 5 e i 49,99 ettari di superficie vitata, rappresenta il 30,3% del numero di aziende e il 59,9% di superficie vitata. Dati questi che emergono nel 6° censimento agricoltura 2010, rapporto sui dati definitivi della Sicilia, pubblicato nel 2016. C’è chi però crede, come me, nonostante l’attuale crisi, alla possibilità di estrarre dal vigneto non solo buon vino ma anche tutta l’energia necessaria per la gestione del vigneto. È chiaro che la produzione di uva rappresenta una delle più importanti forme di tutela ambientale, dal momento che la sola provincia di Trapani, con i suoi 60 mila, circa, ettari di vigneto, favorisce l’assorbimento di circa 450 mila tonnellate di Co2 all’anno.
Serve una spinta al comparto
Innanzitutto serve innalzare ulteriormente la qualità dei prodotti finali, per assicurare reddito ai viticoltori. Serve anche affinare i metodi di produzione e di gestione, dalla vigna alla cantina, per ridurre i costi di produzione e migliorare la qualità del prodotto finale. Determinante è potenziare l’aggregazione e migliorare i servizi alla commercializzazione del vino per accrescere la competitività del comparto. Un’attenzione particolare merita la ricerca e la sperimentazione che vanno incoraggiate e soprattutto sostenute per consentire un’innovazione continua dei processi e dei prodotti e assicurare un supporto valido alle scelte tecniche e imprenditoriali degli operatori del settore.
Bisogna inoltre individuare azioni di commercializzazione indirizzate a specifiche aree di consumo, adottando moderne strategie di marketing, promozione e comunicazione. Altro capitolo è la formazione. Bisogna innalzare il livello. Serve investire sull’alta formazione per migliorare e diffondere la cultura professionale e imprenditoriale. E ancora, bisogna sostenere l’aggregazione tra le imprese e la cooperazione con altri soggetti, come migliorare l’efficienza dei canali commerciali e ridurre invece il divario fra prezzi alla produzione e prezzi al consumo. Un fatto è certo: il comparto vitivinicolo siciliano va maggiormente sostenuto, soprattutto per salvaguardare la sostenibilità ambientale ed economica alle aziende e organismi associativi, ma soprattutto per dare linfa alle future generazioni.
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